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Bologna e la metafora dei semafori

(07/08/2015) - Per capire com'è conciata Bologna, quant'è ammosciata e stanca, basta farci un giro e impattare i semafori. Meglio ora che il caldo cuoce. La prova è così ancora più convincente. La durata dei "rossi" è direttamente proporzionale alla senescenza e decadenza di questa città. Un'amico ha sostenuto che anche altrove è così. Non sa quel che dice...
La irragionevole - e in diversi casi ottusa - durata dei "rossi" è spiegabile solo con una città che non ha più uno scopo. La sterminata e sfinente durata degli stop semaforici presuppone una città di vecchi, di pensionati, con problemi di deambulazione prossimi allo zero. Una città giovane, che ha uno scopo, che - se non altro - deve realmente lavorare, non può tollerare l'ipertrofica insensatezza di questi semafori bolognesi. Potrei stilare un lungo elenco di incroci con durate senza senso. A maggior ragione se sperimenti che il verde dura un nonnulla e il conducente "invornito" che ti precede, nella sua lentezza di riflesso, rischia sempre di fartelo perdere. Tutto ciò "resiste" solo presupponendo che tutti i guidatori in circolazione siano inebetiti. Senza uno scopo concreto significativo. Col caldo di questi giorni poi è un'anticamera d'inferno. Tutta questa ottusa lentezza è il segnale definitivo di una città morta e conservatrice oltre il lecito. Che ci siano migliaia di universitari e che non se ne senta il dinamismo è un'aggravante. Significa che circolano in aree ristrette, che non hanno un reale "movimento" dentro, che rischiano di aver assorbito la mosciaggine esasperante di questa urbe. Altro che slow food. Altro che bici. Qui impera la cottura... La domanda è: che scopo hanno tutti quelli che son lì ad aggravare la lentezza dei semafori coi loro riflessi ritardati?

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