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LA PARITA' SCOLASTICA FA BENE ANCHE AL GESTORE PUBBLICO

(13/04/2013) - Il referendum bolognese antiparitarie è un rimasuglio di un passato ottocentesco che non vuol morire. Non è solo una querelle sulla scuola, o su cosa sia uno stato laico o come vadano destinati i fondi “pubblici”. E’ l’ennesimo segnale di un Paese che, dopo 150 anni, non riesce a vivere con se stesso, con le sue identità, con la sua pluralità, con le sue radici. E’ la riprova, semmai ce ne fosse bisogno, che alcuni non hanno ancora capito cosa è democrazia, cioè una società plurale che ha però denominatori comuni (e un sistema scolastico paritario e plurale dovrebbe essere uno di questi forti denominatori comuni, che rendono più larga e ricca la democrazia). Non è l’egemonia di alcuni e l’esclusioni di altri, in omaggio ad un principio di “proprietà” dei fondi pubblici di cui si sono autonominati guardiani. I fatti parlano. Senza la scuola paritaria calerebbe l’offerta pubblica. Purtroppo già Guareschi ci avvertiva che alcuni “credono più al loro odio che ai loro occhi”. Per costoro, fatti e dati oggettivi non scalfiscono l’ideologia. Detto questo, proviamo a spiegare la questione partendo proprio a favore della scuola gestita dalla pubblica amministrazione. Oggi, l’esigenza di assicurare l’educazione come diritto universale impone una forte presenza di scuola a gestione pubblica. Non ci piove su questo. Ma cosa può mantenere viva, di qualità, una scuola statale (e comunale), fatta da impiegati pubblici (spesso garantiti)? Cosa può far sì che resti di qualità e non decada (come normalmente decade il pubblico impiego quando è senza concorrenti e come è evidente che sta decadendo la scuola italiana)? Da un semplice punto di vista laico, dell’interesse generale, serve che non sia monopolistica. Non c’è un solo esempio nella storia di un monopolio che non sia decaduto e divenuto rapidamente inefficiente. Solo una pluralità di presenze – e quindi di possibilità di scelte da parte delle famiglie – può aiutare seriamente la scuola, privato o pubblica che sia, a non decadere. Un amministratore pubblico, laico e intelligente, deve far sì che non ci sia un monopolio nell’offerta educativa scolastica (a prescindere anche dal mero calcolo economico, che comunque dimostra quanto il privato con le scuole dell’infanzia può fare spendendo meno). Il fine intelligente, sussidiario, costituzionale, è che ci sia una ampia offerta, che non sia monocolore e che questa offerta mantenga qualità nel tempo. E’ anche, questa pluralità scolastica, un antidoto forte a che la democrazia non degeneri in strisciante autoritarismo. Non è questione solo di soldi, peraltro oggi sempre meno. Chi pensa che basti pompar soldi nella scuola amministrata da stato o enti locali, s’illude (e se lo può oramai scordare). Serve un sistema plurale (anche per far quadrare i conti). Questa è democrazia matura. Questa è la possibilità perché ci sia una offerta e sia una buona offerta scolastica. Non stiamo inneggiando ad un mercato scolastico selvaggio; il gestore pubblico deve restare regolatore e verificatore. E comunque un più alto tasso di libertà di scelta fa bene alla scuola tutta. Sia ben chiaro, siamo ancora ben lontani dall’aver messo le famiglie nelle condizioni ottimali di scegliere liberamente e con equità fiscale. Quanto fatto a Bologna è solo un inizio. Alcuni vorrebbero tornare indietro, cancellando anche questo timido inizio di parità.
Gv

Ps: è bene – come sta accadendo, anche grazie ai travagli nel Pd – che questa battaglia referendaria non si ghettizzi in uno scontro cattolici-laici o tra partiti e tra destra-sinistra (ma questo è in parte scongiurato). Per questo ben vengano manifesti bipartisan, firme trasversali, Zamagni e chiunque altro, comunque la pensiate ed anche se sono mezzi un po’ usurati. Se poi eravate dell’avviso che era meglio tenere questo referendum (che è solo consultivo e senza quorum) sottotono per vanificarlo con scarsa partecipazione, beh, oramai il treno è partito, meglio quindi impegnarcisi e dare le proprie buone ragioni e parlare alla maggioranza inerte e silenziosa, presa da tutt’altro, vittima frequente di luoghi comuni. In ballo ci sono le ragioni di una democrazia matura contro un vetusto “ancien regime” statalista.

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