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HAVEL, LA LEGGE E LA VITA (DAL POTERE DEI SENZA POTERE, 1979)

(01/01/2012) - “La legge è sempre – anche nel caso più ideale – solo uno dei modi imperfetti e più o meno esteriori per tutelare ciò che è meglio nella vita rispetto a ciò che è peggio; però non realizza mai il meglio in sé. Il suo compito è di carattere servile; il suo senso non è in essa; dal suo rispetto non viene automaticamente garantita una vita migliore; questa è opera dell’uomo, non delle leggi o delle istituzioni. Si può immaginare una società che abbia buone leggi, in cui le leggi siano pienamente rispettate e in cui non si riesca a vivere? Invece, si può immaginare una vita decente anche con leggi difettose e applicate in modo imperfetto. Insomma, quello che conta è sempre la vita e se le leggi sono al suo servizio o se invece la reprimono; non conta quindi solo se sono o non sono applicate (del resto una loro rigida applicazione potrebbe rivelarsi una calamità ancora più grave). La chiave di una vita umana, dignitosa, ricca, onorevole e felice non sta nella costituzione o nel codice penale; essi si limitano a definire che cosa si può e che cosa non si può fare, quindi rendono facile oppure difficile la vita, la limitano oppure no, la puniscono, la tollerano o la difendono; ma non le danno mai né contenuto né significato. Quindi la lotta per la cosiddetta “legalità” deve sempre vedere questa “legalità” nel contesto della vita: se non si tengono gli occhi continuamente aperti sulle dimensioni reali della sua bellezza e della sua miseria e se non si ha con essa un rapporto morale, questa lotta, prima o poi, si arenerà nelle secche di qualche scolastica fine a se stessa. L’uomo assomiglierebbe automaticamente all’osservatore che giudicasse la nostra situazione solamente in base agli incartamenti giudiziari e alla verifica di tutte le norme prescritte”.
(Vàclav Havel, Il potere dei senza potere, Cseo Outprints 1979)

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